lunedì 3 settembre 2012

Cose di strada





Forza dell'ordine che mi fermi per una manovra poco ortodossa (lento superamento da sinistra, in moto, di una lunga fila di macchine in coda) dovresti essere in grado di comunicarmi chiaramente la reprimenda in luogo del tuo AAOOAUAZZAO TI STRACCI'A PATENT OAZZ affinché la minaccia abbia effetto, eventualmente provando con una lingua a me vicina.



do you really wanna be a cop?




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giovedì 16 agosto 2012

Son e dóttir




E così, dopo aver programmato un viaggio via terra attraverso il confine di Laos e Cambogia mi sono reso conto che altre due settimane al caldo umido mi avrebbero fatto parecchio bene. E come per magia la destinazione è diventata Iceland, che fa fico scriverlo così.
Iceland, dove se ti perdi in un bosco basta che ti alzi in piedi, dove gli elenchi sono messi per nome, dove dire a qualcuno figliodi non è un rischio.
Le cose sono quasi pronte, la 4x4 prenotata, il volo pure e anche un'idea del giro me la sono fatta. Ho visto un paio di filmetti di quelle parti, letto un paio di libri e non ho neppure evitato l'overdose di video su YT, le foto da flickr e i consigli per tornare a casa salvo.
In più la seratina Heima dei Sigur Rós mi ha dato la benedizione.


Skál :)

mercoledì 1 agosto 2012

Si parla di borse da fotografia.


Queste sono le foto fighe che trovate qui


Una specie di recensione, come se se ne sentisse il bisogno.
Insomma mi sono comprato la shoulder bag dopo anni di zaino. O per meglio dire di zaini, di tutte le qualità, pesi e forme. Tutti tremendamente poco estetici.
Per questo ho scelto la borsa Retrospective 20 Pinestone di ThinkTank.
Arriva da Amazon.it che corregge rapidamente l'errore segnalato (la versione 10 invece della 20 con paciugo di foto) al costo di 176€, quasi regalato direi. Sì, direi proprio [facciamo anche finta di non sapere che ora mentre scrivo la vendono a 142€, merda]. Son quelle cose che siccome vai a farti un giro ti senti autorizzato a spendere soldi in più come se non contasse.
Boh, comunque la borsa è grandina, ci sta quello che ci deve stare considerato che se me ne dai una grossa il doppio ci faccio stare il doppio delle cose, tutte super necessarie.
Comunque, la 5DmkII con il 24-105 montato, il pompone 100-400 accanto con il paraluce in reverse, un flash che fa la muffa da quanto intensamente lo uso, un polacircolare e il nuovo ND 9 stop. Qualche cavetto e qualche CF. Non serve altro.
Il materiale con cui è realizzata appare resistente, solido al tatto, l'aspetto generale è buono, non sembra una borsa per foto, forse somiglia più a un contenitore per minifrigo da campeggio che si sa non si può aver tutto. No però dai mi sento bene tenendola a tracolla sul back e non mi sbilancia neppure più di tanto.
Apertura rapida a strappo, cosa utilissima quando devi far foto senza che ti sentano: 20 cmq di strap che suonano quasi come una hornet in pieno rettilineo. Però c'è la furbata, il silenziatore dello strappo, una cosa che ci ho messo una giornata a capire come funzionasse (vedi foto con il simbolo del volume on/off) dopo aver tentato di inserirvi un iPod nelle posizioni più improbabili.
C'è una tasca anteriore che può contenere ancora robe velocemente accessibili e la copertina antipioggia che all'occasione viene tirata fuori tipo profilattico e calzata bene sul giocattolino. Non la apro manco morto perché qualcosa mi dice che il casino sarà poi chiuderla di nuovo, un po' come la tenda Quechua della Gaya a Zurigo che si apriva/montava al volo e poi ci passava tutto agosto a tentare di richiuderla.
Lati negativi? Oh beh sì, il costo innanzitutto. Una borsa da bimbiminkia della NatGeo, con tanto di simbolino bene in vista costa solo 120€, questa poi non ha una chiusura protetta, una zip di sicurezza, se piove alla lunga ci passa l'acqua se non gli metti la mantellina. Per contro è figa, tiene tutto compatto, si porta bene senza che uno si senta per tutto il giorno un dromedario con la gobba cubica, si apre molto velocemente, poggiandola a terra direi meno della metà del tempo di uno zaino senza peraltro il rischio di lussazioni alle clavicole.
Insomma io sono contento, poi per la prova on the road aspetto il viaggio in Islanda dove cercherò di non farmela fottere subito.

Come sempre se trovate sensato quello che state leggendo, aspettate almeno fino alla prossima settimana prima di bullarvi per il nuovo acquisto.

queste foto sono invece le mie.



il geniale silenziatore dello strap.


lunedì 11 giugno 2012

Volovan




Dal diario di volo dell'ultimo Salalah-Muscat.

+1 ai controlli. C'era un passeggero in più, un'ora di ritardo e le hostess impazzite che contavano passeggeri e bagagli. Alla fine come se non fosse successo niente siamo partiti. Così, con una persona in più. Forse.
-1000 alle omanite infastidite che devono rivoluzionare l'assegnazione dei posti prima della partenza dell'aereo perché non vogliono stare accanto agli uomini, agli occidentali e agli uomini occidentali. A seconda.
+30 (kg) al passeggero addosso a me che ha chiesto un'estensione della cintura di sicurezza. Non ho capito come si dice, potrebbe servire.
+200 muorimale a quelli che appena seduti abbassano lo schienale al massimo e si spiaggiano tipo cozza.
1 encomio solenne a quello sei file dietro che continua a sgracchiare nel fazzoletto da quando è salito.
0 (° centigradi) alla temperatura interna.
+10! alla crew rumena. Molto like.


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giovedì 29 marzo 2012

Fotorotondo




Le foto che noi facciamo 
che loro chiedono di stampare 
che entrano in una busta 
che va al loro paese 
per i genitori che vogliono vedere i figli 

che al mercato mio padre comprò



[semicit. Jules + Branduardi]






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lunedì 5 marzo 2012

Furbizie

Fossi stato furbo avrei smesso di fare il furbo perché non sono mai stato così stupido come quando ho fatto il furbo.


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domenica 4 marzo 2012

Oman for dummies


Che poi Oman, sarebbe bene dire quel chilometro quadrato dove lavoro a volte. Certo non è Muscat ma vabbè.


Fisicamente ho due settimane di bonus poi sento il peso del cibo omanita che però è indiano. E lo vedo da quanta voglia ho di scorrere il menu a pranzo, la sera no che prendo the con gli HobNobs e non dico gli sguardi dei gruppi che passano di lì con la loro guida bellina furbina che si scofanano zuppiere che potrebbero sfamare qualche slum di Calcutta. Fosse per me salverei solo tre o quattro piatti: lentil soup (zuppa di lenticchie), cheese and thym salad (insalata di formaggio tipo feta forse con il timo), chicken tikka curry (pollo a pezzetti con curry) e veg biryani rice (riso con verdure e spezie). Una menzione a parte va al chicken boneless, una specie di pollo sulla griglia talvolta perfettamente disossato servito su un letto di verza. Almeno questi sono i cibi rifugio nel nostro hotel.
Bevande? Oh, chi non desidera un bel succo di frutta tropicale con la papaya, il mango e i frutti di bosco del nord per accompagnare il polletto arrosto o lo stufato di montone?
Insomma, dopo le prime due settimane in cui si ritrovano questi esotici sapori, lo stomaco a un certo punto mette i paletti e nicchia un po'.
Poi ci sono i momenti di relax, tipo gli aperitivi alcolici in questa o quell'altra stanza o il cineforum casalingo (un'imperdibile trilogia bengalese vale da sola il viaggio qui). Siamo diventati pratici, ora facciamo in anticipo le liste del chi deve portare cosa evitando di avere contemporaneamente dieci bottiglie di crema di whisky o di nocino prodotto in proprio dallo zio agricoltore. Alla fine abbiamo scoperto che il problema non è tanto far entrare il gin di nascosto, oltre a quello che è lecito importare attraverso il duty free all'arrivo, quanto trovare la tonic water perché qui usano tutti la soda o la Schweppes ginger ale che mi fanno entrambe cacare. La tonic water, diomio, mica l'acqua dell'Himalaya.
Insomma, aperitivi che terminano la giornata lavorativa, patatine improbabili al gusto di limone e aceto ed è subito cena.
The. Bevo un sacco di the, intorno alle 4-5 tazze grandi al giorno, the omanita Mumtaz (con la zeta dolce) bello strong che è sinonimo di qualsiasi tipo di break.
Altre attività. Ultimamente sono tornato a farmi tagliare un po' meglio quel poco di barba che ho per tentare di avere un aspetto che sia almeno a metà tra l'italiano zozzone tipo non sono mai più tornato dal viaggio in India e il worker pakistano che sposta pietre tutto il giorno. Comunque, durante il taglio e il massaggio (cioè quando l'indiano ti prende a pugni e schiaffi in testa perché fa bene) è arrivato un bricco di caffè omanita da donare ai clienti. Orrore. Il kahwa, caffè omanita al cardamomo, è in assoluto la cosa più cattiva da bere, forse al livello del bario per l'esame del fondo gastrico. Ne devono essere consumate almeno tre tazzine, che assomigliano stranamente ai bicchierini della glappa di liso del listolante cinese, per non essere scortesi. Alla fine della terza sospirata volta, si porge indietro la tazzina muovendola con le dita per dire basta-bene-grazie-era buonissimo-ma proprio non me ne va più. Questo gesto sarà molto apprezzato insieme a una serie di altre cose che mi sono venute in mente e che per brevità elenco qui sotto.


Cose che sarebbe bene fare-non fare per evitare la figura da pirla.

  • Mangiate con la mano destra, dimenticatevi la sinistra o meglio mettetevela tra le gambe.
  • Prima di mangiare lavatevi le mani (strana questa vero?) e visto che poi prenderete il cibo da un piatto comune sarebbe meglio non cercar pepite nel naso durante il tratto lavamani-sala da pranzo.
  • Dopo esservi tolti le scarpe (in casa si sta scalzi) non andate fieri di mostrare il calzino col ditone che occhieggia, meglio toglierli i calzini e se i piedi sono impresentabili sedetevici sopra.
  • Evitate di prendere una manciata di riso, perché la polpettina che ne dovrete fare insieme al pollo o al montone o alla capra nei giorni di festa, risulterà troppo grande, si sfalderà lordandovi la camicetta nuova. Osservate come fanno loro e comunque anche loro sembrano grufolare un sacco quando magnano così.
  • Mangerete o vi faranno mangiare tantissimo e alla fine arriverà il dolce tradizionale, paragonabile per popolarità al waferone di San Marino, chiamato halwa, una cosa gelatinosa color caramello dimenticato sul fuoco, aromatizzata, tra le altre spezie, con cardamomo (ancora...), zafferano e rosewater. Lasciate posto per questa sciccheria.
  • Non si chiedono alcolici, neppure quelli moderatamente alcolici anche se vi sembrerà di non poterne fare a meno, soprattutto chi in genere, a casa sua, schifa qualsiasi cosa che abbia più gradi del brachetto. In compenso ci sarà sempre una bottiglia di Pepsi da 2.5 litri e un'altra di Mountain Dew che è una specie di sprite adatta per le gare di rutto libero.
  • Un black tea con zucchero costa 100 baisa (cioè 0,1 rial), un chai (tea with milk) costa 150 baisa. E' sconsigliabile pagare 1 rial un bicchiere di the.
  • Si tratta al suq, si mercanteggia con gli artigiani ma non lo si fa al ristorante. Però si controlla il conto.
  • Per strada non fissate né indicate, soprattutto le donne e ricordatevi che chiedere il permesso di fare una foto non vuol dire ok ti appoggio la macchina sulla faccia.
  • Se siete donne abituatevi a essere ignorate nei momenti ufficiali di saluto e non date la mano soprattutto per prime (quindi non datela proprio che tanto non ve la daranno). Se siete uomini parlate con l'uomo come fosse solo, tanto la donna starà un paio di passi indietro. Potrete tranquillamente guardarle il culo quando se ne andrà.
  • Abituatevi a comprendere un inglese un po' indiano dove bibol sta per people e blisz sta per please, ma non fatevi ingannare, lo parlano molto meglio di voi (di me di sicuro).
  • Se vi suonano per strada e siete a piedi spostatevi o finirete sotto una macchina.
  • La moneta è il rial omanita siglato OMR che a seconda del vento vale circa il doppio dell'euro. Spendere circa 5 OMR per la cena è sensato, spenderne 2 per fare mezzo chilometro in taxi multiplo lo è un po' meno.
  • Se lavorate con un gruppo di pakistani non è consigliabile inserire all'interno un bengalese: lo ignoreranno. Se lavorate con i bengalesi non è consigliabile inserire all'interno un pakistano: lo ignoreranno e poi si meneranno.
  • Se è in corso un litigio tra due uomini non vi mettete in mezzo, diventereste voi l'oggetto delle mazzate. Se un uomo sgrida pubblicamente una donna non vi mettete in mezzo altrimenti sarà la donna a darvi mazzate.
Se avete trovato utile questa miniguida auguri, siete proprio pronti per il vostro viaggio.






venerdì 25 novembre 2011

Oman | one month later

Che alla fine è questo il modo di tenere un diario. Una settimana, un mese, un anno. Credo che non potrei fare niente di meglio, neppure se ci provassi davvero. Rientrano sempre quelle millemila cose da fare che la sera sei stanco e rimandi a domani. 
Comunque sono ancora in Oman, è passato un mese dall'ultimo aggiornamento e anche a non volerlo sono successe cose. E anche non poche, tutte di importanza relativa, niente di epocale e forse anche qualcuna noiosa.

Il pranzo dell'Eid.
L'ultimo post si fermava ai giorni pre Eid (o Id Al-Khabir) festone muslim per eccellenza. In parte il desiderio si è avverato: siamo stati ospiti di una famiglia omanita per il terzo giorno di Eid, quello che ci interessava di più dal lato culinario. Durante il primo giorno, quando vengono scannate le bestie, dopo intense contrattazioni al suq per l'acquisto, il pranzo che viene preparato è a base di carne stufata, il secondo sono i classici shish kebap o spiedini, mentre già dalla sera si prepara la shuwa, carne e relative teste per il giorno seguente, speziandola e avvolgendola in foglie di banano intrecciate tanto da formare una specie di tasca poi sepolta sotto terra per una lunga lenta cottura che prenderà tutta la notte e anche la mattina dopo.
Arriviamo a casa del nostro amico puntuali dopo una mattina di scavo, ma puliti come bimbi puliti ed eccitati dall'idea di fare chissà cosa per esempio il servizio che vale il premio mondiale della fotografia etnografica. Le aspirazioni si spengono subito perché ci viene chiesto di non fare molte foto e soprattutto di non divulgarle. Per cui ho foto che non posso far vedere. Sì, un po' come non averle perché i ricordi di quella giornata sono tutti nella mia testa, nei miei occhi, nei gesti a volte solenni che sono stati fatti, come l'apertura della sacca di banano, come la pulizia dei crani mentre ci veniva offerto, come ospiti di riguardo, il cervello caldo e morbido.
L'ingresso in casa è stato attraverso due porte differenti, una per le donne e una per gli uomini. Non avremmo rivisto le nostre colleghe fino alla fine del pranzo e non avremmo visto neppure la parte femminile della famiglia, tranne l'anziana madre che un paio di volte è scivolata silenziosa lungo il corridoio forse per verificare che fosse tutto a posto oppure solo per andare in bagno (non avevano un bagno di là?). Dopo i saluti di rito e le presentazioni durante le quali la frase che ricorre è "Eid Mubarak" come forma di augurio e di benessere prospero per i giorni dell'Eid, gli uomini si sono accomodati nella sala buona con divani, cuscini ed un enorme tappeto per terra, sedendosi in ginocchio e avendo cura di non mostrare le piante dei piedi. Per loro è facile, basta accomodare la dishdash coprendo tutto, ma per noi, con i nostri jeans strettini alla moda, nascondere i piedi è stato un po' più difficile. Penso che in fondo ci abbiano perdonato. Ci siamo accomodati in ginocchio attorno ad un telo trasparente sul quale è stato poggiato un grande vassoio di riso giallo con spezie varie su cui era ordinata la shuwa. Cow and goat come ci hanno detto, domandandoci anche se ci servisse un cucchiaio essendo occidentali e quindi non abituati a mangiare la carne con le mani. Ora, tra mangiarla con le mani, cosa che faccio molto spesso e non solo qui, e mangiarla con un cucchiaio è chiaro che abbiamo scelto la prima. In fondo l'abbiamo già fatto altre volte e la cosa riporta un po' al piacere tribale della carne cacciata, macellata, cotta allo spiedo e mangiata senza troppi problemi. L'unica cosa per me un po' difficile rimane sempre quella di staccare piccoli pezzi personali da un grosso pezzo comune usando soltanto la destra senza toccare e ritoccare il cibo di tutti gli altri perché la sinistra durante il pranzo se ne sta comodamente tra le gambe incrociate. Comunque, tralasciando le difficoltà personali, si stacca un pezzetto di carne dalla parte comune per portarla nella propria zona di piatto e mescolarla con il riso sul palmo della mano plasmando e stringendo finché non esce una specie di polpetta solida quel tanto che basta per essere messa in bocca senza che si distrugga prima. Poi naturalmente la frutta e tutti i dolci possibili fatti a base di datteri. In tutto questo non so, non riesco a fare a meno del vinello o magari di una birra. Certo, ci sono ottimi surrogati: succo di mirtillo e frutti rossi, birra Barbican al malto gusto limone, praticamente una 7up in una bottiglia di birra col tappo a corona che si svita. Non c'è che l'imbarazzo ed è sempre disponibile la Pepsi in bottiglia da due litri. Ok sì, i beveraggi non è che siano la loro portata migliore però possiamo farne a meno, no? Almeno per una volta. E poi se proprio è necessario c'è sempre il Falaji Daris (albergo di Nizwa con la possibilità di bere birra abbastanza seria oppure dell'ottimo vino rosso freddo di frigo oppure gin and tonic). L'ospitalità è stata sempre araba, perfetta, attenta, mai pesante o fuori misura. In questo avremmo molto da imparare. Alla fine della giornata dopo il cibo e le tante chiacchiere abbiamo avuto l'onore di incontrare le due figlie del nostro amico, due piccole pesti con le mani e le braccia disegnate da una delle tante decoratrici di henna che qui fanno dei veri e propri capolavori. Questo è stato il nostro Eid, il nostro primo Eid, ammessi in casa di una famiglia omanita nel loro giorno di festività più importante. Beh sì è come se invitassi qualcuno a casa mia per Natale. E' come se ma un po' differente.




Su e giù per la Cayenna.

A parte il pranzo dell'Eid continua il nostro su e giù per la Cayenna. Da qualche giorno sta perdendo un po' l'aspetto terribile che aveva all'inizio. Sarà che ci siamo forse abituati? Che siamo meno piagnucoloni, che vediamo arrivare abbastanza velocemente la data della partenza, velocemente ma non troppo questo è sicuro. Comunque andare su e giù per il monte ci fa bene fisicamente e anche durante la giornata di lavoro non ci pesa più così tanto farci mezza discesa e poi di nuovo mezza salita per andare a fare foto allo scavo sotto oppure per portare su nuovo materiale, nuovi guanti (che vanno via veloci come fossero ginocchia di bimbo su asfalto drenante) o nuovi attrezzi. Il lavoro sulle rocce, oltre ad essere dispendioso in termini di energia fisica, deteriora rapidamente ogni cosa. Il gruppo dei Pakistani è compatto, orgoglioso, poco incline alla risata e gran lavoratore, quello dei bengalesi è più leggero, molto dedito alla chiacchiera durante il lavoro (ce ne sono due o tre che parlano, parlano, parlano in continuazione, tanto che giorni fa ho chiesto a uno di loro di che cosa avesse parlato per tutto il tempo non immaginando che per rispondermi avrebbe iniziato di nuovo a parlare, parlare, parlare) ed anche un po' più furbetto nel far fruttare l'incomprensione naturale con noi. Nell'insieme i primi sono per il lavoro grosso, per trascinare pietre e per costruire (è la mia squadra), gli altri invece sono molto bravi nel pulire con attenzione parti di terreno, per il lavoro un po' più raffinato. E sì, vanno bene entrambi. A patto che siano separati. Altrimenti sono atti di continua prevaricazione verso chi si trova in minoranza quando non ci sono liti vere e proprie per risolvere questioni come la divisione dell'acqua. La mia tomba, la prima, è stata completamente ricostruita e, anche se abbiamo avuto alcune discussioni sull'altezza finale che avrebbe dovuto raggiungere, adesso sono abbastanza soddisfatto del risultato. Oggi mentre scrivo è venerdì, quindi giorno di festa in cui ci riposiamo ciascuno dietro le proprie cose di lavoro e di tempo libero. Alterno le cose divertenti, tipo scrivere questo resoconto senza nessuna pretesa, alla scrittura del report che dovremo consegnare alla fine. Quest'anno vorrei che fosse pronto almeno 24 ore prima della mia partenza e non come al solito contando i minuti tra la preparazione della borsa e i saluti alle persone che non rivedrò fino a febbraio. I buoni propositi...



La mattina fotografica al suq (questo paragrafo può offendere persone sensibili).

Come almeno una volta durante la missione scelgo un venerdì in cui mi sveglio presto per andare al suq, al mercato delle bestie e del pesce a fare foto. Sono da solo, mi trovo meglio, posso indugiare in posti che puzzano e magari fermarmi in posti che sembrano poco consigliabili ma che in realtà sono assolutamente tranquilli. Non metto la sveglia, ma è una mattina in cui mi alzo senza problemi alle 7. E' festa ed il giorno lo dedico alla fotografia, anche se per andare a vedere quello che voglio, e cioè persone, animali, pochi turisti, gesti consueti, devo per forza alzarmi presto. Quando tutte le mattine sei in piedi prima dell'alba un giorno di riposo vale molto. Però la fotografia... Quindi colazione, esco in tenuta da lavoro con lo zaino dove trovano posto la 5D II e le due ottiche che ho, un 24-105L montato e un 100-400L pronto per essere usato quando le situazioni mi sembrano ideali. Cammino giusto 500 metri per portarmi dall'altra parte della strada e il secondo taxi che passa si ferma: è uno di quelli pubblici, lo condivido con due tedeschi che sono a Nizwa per la prima volta. Dopo due chiacchiere ed un veloce Sabah el kheer - Kef halak - zein al hamdulilla (buongiornocomevabenegrazie), cercando di disinnescare il completo saluto arabo che è lungo, lungo ma lungo. E poi non lo so bene tutto, quindi per evitare figuracce mi sbrigo.
Arriviamo nel grande parcheggio di Nizwa e scendo diretto verso il vecchio suq che è composto da una serie di mercati, di corridoi, di piazzette, di angoli e un unico barrettino dove si compra il the. E' perfetto, nessuna facilities per turisti. Mi sento a casa e non solo per la puzza. Stavolta me la prendo comoda, lascio a dopo la parte del mercato delle bestie (una specie di rotonda dove i venditori girano trainando animali più o meno innervositi, che scalciano o s'impennano mentre i compratori o i curiosi come me stanno ai lati e osservano) e vado verso quello del pollame e del pesce. 



Occorre arrivare la mattina presto, specie a quello del pesce perché ci sono i banchi pieni e soprattutto ci sono i venditori che sventrano in terra i pesci di grandi dimensioni in mezzo ad acqua e sangue. L'odore è forte e riconoscibile immediatamente, capisco perché i carnivori siano eccitati quando lo sentono. A me non piace e la prima volta quando capitai in pieno sgozzamento di polli in batteria stavo quasi per vomitare. Ma poi ci si abitua. Riesco a fare un po' di foto, ora non ho più il timore delle prime volte, riesco a chiedere il permesso in un arabo decente e spesso dicono di sì, alcuni alzano pesci e coltelli come trofei, altri giocano pericolosamente con le lame tra le mani. Inutile dire che ancora non riesco a togliermi dalla testa quella paura scema che ogni tanto mi prende se penso a come sono bravi a tagliare la gola alle bestie, sarebbero velocissimi nel farlo con me. Poi per fortuna altre cose che vedo mi allontanano da questi pensieri e mi danno qualche altra occasione per fare foto, magari mentre cammino proprio in mezzo a loro, tentando di riparare la macchina da qualche schizzo di sangue. Esco dal mercato del pesce e passo a quello degli uccelli dove intavolo una trattativa con due ragazzini per l'acquisto di un nido fatto di barbe di palma e di fango (si scioglierà alla prima pioggia fiorentina, ne sono sicuro). Offro 1 OMR (circa 2 €) e loro ne chiedono 2. Sembrano più divertiti dalla possibilità di trattare con uno come me che interessati alla vendita. Stanno molto sui 2 rial ma quando vedono che anche io faccio il simpaticone ma non mi muovo da 1.0 allora chiedono 1.9: è fatta. La trattativa si muoverà a singhiozzo con scene di finta disperazione loro come se avessi offerto una cifra vergognosa e puerili tentativi miei di andarmene, tanto alla fine sappiamo che arriveremo a 1.5 e saremo contenti entrambi. 



Il mercato delle bestie ha già offerto il meglio, mi fermo un po' a vedere le aste di quello che è rimasto. Ci sono donne omanite della costa o appartenenti a famiglie beduine che attirano per il colore dei loro veli e per i niqab, le maschere, che usano per coprirsi parte del volto. Trattano al pari di un uomo, anzi direi che la condotta dell'asta e della vendita è tenuta saldamente da loro stesse. Qui ho visto come un gruppo di italiani può dare il peggio: naturalmente basta osservare come vesti per farsi un'idea: canottiera con spalle scoperte, pantaloncini corti, aria sguaiata da mo' arivo io... Fotografano in giro comprese le donne omanite, cioè quelle che sul mio flickr trovate qui, da vicino, senza accortezza, senza chiedere, senza alcun segno di rispetto. Loro con ampi gesti delle braccia iniziano a spazientirsi e li invitano ad andarsene, questi retrocedono di qualche passo e continuano a fotografare con le loro cazzo di macchinette mentre le altre si alzano e raccolgono dei sassi da terra facendo il gesto di farli saltare su una mano, come se li soppesassero. E' un gesto che, oltre alla minaccia diretta che forse anche una mente molto semplice capirebbe, ha un significato più nascosto. E' il gesto che in genere si fa con gli animali pericolosi per mostrare che non si ha paura di loro, con le scimmie funziona benissimo, ma anche con certi cani che si trovano ai margini dei paesi in quelle terre di nessuno predesertiche ma già prive di acqua e di cibo. Far saltare una pietra su una mano ti dice: "non ho paura di te, animale". Non mi metto nel mezzo io, sebbene abbia la tentazione di mandarli davvero affanculo, non mi metto nel mezzo come mi hanno insegnato, intanto perché loro sanno difendersi da sole e non sono sole e poi perché se peggiorano le cose puoi essere sempre menato perché sei occidentale. Alla fine comunque se ne vanno ridendo, in gruppo, mostrando come è forte il gruppo quando è gruppo. Continuo i miei giri e vedo altre cose, mi seggo e osservo la gente che passa, chi mette a posto, pulendoli, i cavi e le grosse corde che tenevano le mucche legate, chi passa con gli ultimi acquisti da fare, chi si muove come se dovesse portare ancora a casa il pane per la giornata. Decido poi di andare sotto l'albero a prendere un the. Tralascio che nel punto di ritrovo con i miei colleghi incontro nuovamente il gruppo di italiani "... perché se tu vieni a casa mia te devi da scoprì a faccia devi sottostà a e nostre regole artro che burca" e nello stesso discorso "mo che vojono, me stanno a guardà e gambe? Io sto qui vestita come vojo come sto ar paese mio..." Beh lascio Sasha e il suo gruppo (sì, si chiamava così) al loro zoosafari di umani e me ne torno con i colleghi verso l'albergo dopo una breve visita nel suq delle stoffe che fanno dentro al wadi.

Così passa un mese che con la settimana di prima fanno circa 36 giorni che sono qui. Il tempo va che è un piacere una volta regolati gli automatismi e se non ci si pensa troppo sembra di essere sempre stati qui. 

Il tempo in fondo è una bestia strana.




venerdì 28 ottobre 2011

Oman | week 1

E così è già passata più di una settimana da mercoledì 19 ottobre, quando ho preso l'aereo con quel tessuto vagamente primaverile strisciato sulle file di poltroncine una volta tanto distanziate tra loro in modo da allungare decentemente le gambe. La prima volta che volo diretto da Milano verso Muscat, da quando l'Oman è diventata la mia seconda casa, da anni ormai.
Poco da dire sul viaggio e sull'arrivo al caldo, giusto il fatto che ho dormito per tutta la durata e quindi anche volendo non avrei molto da raccontare. Dormito e magnato.
Poi lo sbarco in aeroporto, fintanto che ci sarà, perché stanno costruendo già quello nuovo, che sarà grandissimo, bellissimo, larghissimo, freddissimo, che si potrà fare a palle di neve e con tanti negozi la cui illuminazione basterebbe per accendere un quartiere di casa nostra sotto natale. Sarà issimo ma meno di Dubai, perché qui considerano gli Emiarab molto lontani, molto più di quel qualche centinaio di chilometri che mancano alla frontiera tra  Shinas e Al Fujayrah prima delle due enclaves di Wadi-e-Mahdah (dove c'è la sub enclave di Nahwa a sua volta appartenente agli UAE, un po' come le scatole cinesi) e di Khasab più a nord sullo stretto di Hormuz. Sarà issimo ma un po' meno, perché qui considerano gli Emiarab molto vicini, soprattutto se parliamo di esagerazione, vicini tanto da premettere sempre che sono lontani. E diversi. E qui si fanno le cose ma sempre con lo spirito dentro come dice Said, non come là che concepiscono solo l'issimo+. Poco importa se gli altri faranno un aeroporto ancora più grande, un po' come la storia dell'Opera. Ma se ne parlerà in seguito, sempre che me ne ricordi. 
Lasciando l'aeroporto sono rimasto per un po' ad aspettare il mio passaggio, il driver, ultimamente sempre il solito, che mi avrebbe portato a Nizwa. Stavolta però era tutto molto più fico che suonava tipo "Tieni che ti dò la 4x4 e te ne vai da solo in albergo che tanto la patente ce l'hai". E peccato che, avrei aggiunto io, me la sono dimenticata in Italia, almeno quella internazionale. Però c'è anche da dire che nessuno mi ha mai fermato per ora, quindi controllo veloce le casse della missione che riempiono il dietro dove ci dovrebbero essere i posti 3, 4, 5, 6 e 7, ma volendo anche otto e nove. Vedo una stampante traballare, la fermo un po' meglio, scorgo la mia personal box e parto tranquillo.
Un'ora e mezzo di viaggio con l'highway illuminata a giorno e finestrino aperto - odio l'AC - il vento caldo delle thousand omani nights che entra dentro e gli indobengalesi stralunati che anche di notte puliscono le strade dalla sabbia e che appaiono sempre in ultimo, sempre a margine, sempre vestiti di scuro, una specie di sintesi della loro esistenza qui.  Poi l'arrivo in hotel, sempre lo stesso flat, sempre la stessa camera. Sì. È come un ritorno nella seconda casa, quella del mare, anche se qui invece del mare c'è un cazzo.
Vabbè, segno il mio spazio, spargo vestiti sui tre-letti-tre, singoli, con tre-comodini-tre, mi rassicuro immediatamente con le tre bottiglie di acqua Oasis e faccio un check alla rete: non funziona, sono a casa!
I due giorni successivi li passo a dormire, trascinarmi da una parte all'altra del flat, mettere la testa fuori, boccheggiare e tornare dentro deglutendo per l'AC ai limiti del congelamento, dormendo ancora, cercando di capire come fare per far trasmigrare l'orario cacca dal mattino al pomeriggio in previsione del ritorno dagli scavi primo momento utile per andare in bagno comodamente, riprendendo contatto con la cucina indiana dell'albergo sforzandomi di ricordare i nomi dei vari masala, arabic shawarma, taboula, moutaba fino al glorioso chicken boneless che non ho ancora capito come facciano a disossarlo completamente lasciandoti in perfetto ordine tutta la carne da mangiare.
Poi arriva la mia collega che dividerà con me le prime due settimane di missione finché via via non arriveranno gli altri.
Infine sabato 22 iniziamo la prima ascensione alla Cayenna, dove lavoreremo per questi due mesi.



La Cayenna.


Ce la siamo soprannominata così, una specie di montagna ripida, con una cresta fatta di rocce taglienti piantate per terra. Lavoreremo lì sopra tutti i giorni dall'alba teoricamente fino alle 1 p.m., il giovedì un ora meno, il venerdì riposo. In effetti a vederla da sotto non è male, fa molto dolomiti ma senza il CAI e senza la possibilità di sbagliare strada dato che di strade manco l'ombra. E manco l'ombra davvero dato che una delle prime preoccupazioni è quella di come evitare il sole soprattutto sulla cresta, in alto. Non so fino a che punto potrò spingermi nella descrizione, devo riguardare un attimo il contratto che ho firmato e gli obblighi a proposito dei limiti sulla divulgazione dei lavori in corso. Forse ambienterò questa storia nel Kirghizistan e invece di stillare gocce di architettura del restauro applicate all'archeologia parlerò di cavalieri della steppa (c'è steppa nel KirghiCoso?).
Tornando alla Cayenna dopo una settimana passata alla individuazione delle tombe rispetto alle altre montagne di sassi, alcune originate da crolli naturali, altre fatte da beduini per ripararsi e spararsi contro non so quale nemico, dopo aver costruito un percorso per raggiungere la cima senza rischiare ad ogni passo di bucarsi le scarpe e i piedi ed aver gioito quando la Google illuminazione ci ha colto sulla via di Damasco (che da qui in qualche modo si arriverà pure a Damasco) mostrandoci l'incerta riga bianca che sarà riportata sulle prossime mappe satellitari e immaginando anche qualche pigro deficiente mentre la usa con il suo SUV quattrocentomila di cilindrata rimanendo poi incastrato a treqquarti oppure finendo giù lungo il fianco dove la roccia si sfalda, dopo tutto questo, dicevo, abbiamo tirato su prima a mezza costa poi in cima una splendida tenda blu che servirà da riparo se non volerà via prima o se qualche Jinn dispettoso deciderà di usarla come aquilone.






Ah già, il Jinn, un'altra cosa di cui dovremo parlare prima o poi e dovremo fare qualche considerazione anche sugli zombie, ma preferisco lasciar passare un po' di tempo e magari capirne di più perché gli omani non sono tanto gioiosi di affrontare questo argomento, così come ieri parlavamo delle streghe di Bahla. Ci sarà tempo, si spera qui, che il tempo è l'unica cosa che non manca, magari quello per farsi i fatti propri non è che sia così disponibile però per il resto ce n'è che avanza e per di più appare davvero dilatato (specie la mattina che non passa mai).

In questo modo trascorre la prima settimana. Qualcosa starò dimenticando come ad esempio la mia lunga discussione con Said sui principi solidi del Corano, sul sì e no, sul bianco e sul nero a cui contrapponevo, con difficili tentativi di emulazione, la mia visione del bianco-grigio-nero o del sì-forse-no. Il problema irrisolto è stato quello di comunicargli che per noi le sfumature di grigio che stanno tra un bianco e un nero sono tante, ma tante tante spesso troppe e che avendo un'autostrada così ampia diventa talmente difficile sconfinare alle estremità, abituandoci in questo modo alle zone grigie prive di luce. E invece qui la luce non manca, un po' come nel già trascorso Diwali indiano ("festa della luce") di mercoledì scorso. Ci siamo promessi di riprendere questo discorso più avanti. E come tutte le cose spinte avanti ci saranno ottime probabilità che non verranno riannodate mai.
Per il resto pochi giri al suq per ora, tante docce e un po' di chiacchiere con gli amici sparsi in giro per il mondo via IMO che abbiamo scoperto essere una buona alternativa a Skype, ancora non abilitato al funzionamento, non disponendo, o volendo disporre, di Tunnel VPN, perché qui la censura comunque esiste e non è leggera.
Domani inizieremo la seconda settimana che, oltre a progressi lavorativi, spero ci introduca anche ai vari aspetti dell'ʿīd al-kabīr (o īd al-aḍḥā "festa del sacrificio"), la più importante festa islamica che dovrebbe iniziare dal 6 novembre, anticipata dal giorno del viaggio, il 5 novembre. Se poi riuscissi a passarla dal mattino come ospite di una famiglia potendo usare la mia 5DmkII sarebbe davvero un regalo.