E così è già passata più di una settimana da mercoledì 19 ottobre, quando ho preso l'aereo con quel tessuto vagamente primaverile strisciato sulle file di poltroncine una volta tanto distanziate tra loro in modo da allungare decentemente le gambe. La prima volta che volo diretto da Milano verso Muscat, da quando l'Oman è diventata la mia seconda casa, da anni ormai.
Poco da dire sul viaggio e sull'arrivo al caldo, giusto il fatto che ho dormito per tutta la durata e quindi anche volendo non avrei molto da raccontare. Dormito e magnato.
Poi lo sbarco in aeroporto, fintanto che ci sarà, perché stanno costruendo già quello nuovo, che sarà grandissimo, bellissimo, larghissimo, freddissimo, che si potrà fare a palle di neve e con tanti negozi la cui illuminazione basterebbe per accendere un quartiere di casa nostra sotto natale. Sarà issimo ma meno di Dubai, perché qui considerano gli Emiarab molto lontani, molto più di quel qualche centinaio di chilometri che mancano alla frontiera tra Shinas e Al Fujayrah prima delle due enclaves di Wadi-e-Mahdah (dove c'è la sub enclave di Nahwa a sua volta appartenente agli UAE, un po' come le scatole cinesi) e di Khasab più a nord sullo stretto di Hormuz. Sarà issimo ma un po' meno, perché qui considerano gli Emiarab molto vicini, soprattutto se parliamo di esagerazione, vicini tanto da premettere sempre che sono lontani. E diversi. E qui si fanno le cose ma sempre con lo spirito dentro come dice Said, non come là che concepiscono solo l'issimo+. Poco importa se gli altri faranno un aeroporto ancora più grande, un po' come la storia dell'Opera. Ma se ne parlerà in seguito, sempre che me ne ricordi.
Lasciando l'aeroporto sono rimasto per un po' ad aspettare il mio passaggio, il driver, ultimamente sempre il solito, che mi avrebbe portato a Nizwa. Stavolta però era tutto molto più fico che suonava tipo "Tieni che ti dò la 4x4 e te ne vai da solo in albergo che tanto la patente ce l'hai". E peccato che, avrei aggiunto io, me la sono dimenticata in Italia, almeno quella internazionale. Però c'è anche da dire che nessuno mi ha mai fermato per ora, quindi controllo veloce le casse della missione che riempiono il dietro dove ci dovrebbero essere i posti 3, 4, 5, 6 e 7, ma volendo anche otto e nove. Vedo una stampante traballare, la fermo un po' meglio, scorgo la mia personal box e parto tranquillo.
Un'ora e mezzo di viaggio con l'highway illuminata a giorno e finestrino aperto - odio l'AC - il vento caldo delle thousand omani nights che entra dentro e gli indobengalesi stralunati che anche di notte puliscono le strade dalla sabbia e che appaiono sempre in ultimo, sempre a margine, sempre vestiti di scuro, una specie di sintesi della loro esistenza qui. Poi l'arrivo in hotel, sempre lo stesso flat, sempre la stessa camera. Sì. È come un ritorno nella seconda casa, quella del mare, anche se qui invece del mare c'è un cazzo.
Vabbè, segno il mio spazio, spargo vestiti sui tre-letti-tre, singoli, con tre-comodini-tre, mi rassicuro immediatamente con le tre bottiglie di acqua Oasis e faccio un check alla rete: non funziona, sono a casa!
I due giorni successivi li passo a dormire, trascinarmi da una parte all'altra del flat, mettere la testa fuori, boccheggiare e tornare dentro deglutendo per l'AC ai limiti del congelamento, dormendo ancora, cercando di capire come fare per far trasmigrare l'orario cacca dal mattino al pomeriggio in previsione del ritorno dagli scavi primo momento utile per andare in bagno comodamente, riprendendo contatto con la cucina indiana dell'albergo sforzandomi di ricordare i nomi dei vari masala, arabic shawarma, taboula, moutaba fino al glorioso chicken boneless che non ho ancora capito come facciano a disossarlo completamente lasciandoti in perfetto ordine tutta la carne da mangiare.
Poi arriva la mia collega che dividerà con me le prime due settimane di missione finché via via non arriveranno gli altri.
Infine sabato 22 iniziamo la prima ascensione alla Cayenna, dove lavoreremo per questi due mesi.
La Cayenna.
Ce la siamo soprannominata così, una specie di montagna ripida, con una cresta fatta di rocce taglienti piantate per terra. Lavoreremo lì sopra tutti i giorni dall'alba teoricamente fino alle 1 p.m., il giovedì un ora meno, il venerdì riposo. In effetti a vederla da sotto non è male, fa molto dolomiti ma senza il CAI e senza la possibilità di sbagliare strada dato che di strade manco l'ombra. E manco l'ombra davvero dato che una delle prime preoccupazioni è quella di come evitare il sole soprattutto sulla cresta, in alto. Non so fino a che punto potrò spingermi nella descrizione, devo riguardare un attimo il contratto che ho firmato e gli obblighi a proposito dei limiti sulla divulgazione dei lavori in corso. Forse ambienterò questa storia nel Kirghizistan e invece di stillare gocce di architettura del restauro applicate all'archeologia parlerò di cavalieri della steppa (c'è steppa nel KirghiCoso?).
Tornando alla Cayenna dopo una settimana passata alla individuazione delle tombe rispetto alle altre montagne di sassi, alcune originate da crolli naturali, altre fatte da beduini per ripararsi e spararsi contro non so quale nemico, dopo aver costruito un percorso per raggiungere la cima senza rischiare ad ogni passo di bucarsi le scarpe e i piedi ed aver gioito quando la Google illuminazione ci ha colto sulla via di Damasco (che da qui in qualche modo si arriverà pure a Damasco) mostrandoci l'incerta riga bianca che sarà riportata sulle prossime mappe satellitari e immaginando anche qualche pigro deficiente mentre la usa con il suo SUV quattrocentomila di cilindrata rimanendo poi incastrato a treqquarti oppure finendo giù lungo il fianco dove la roccia si sfalda, dopo tutto questo, dicevo, abbiamo tirato su prima a mezza costa poi in cima una splendida tenda blu che servirà da riparo se non volerà via prima o se qualche Jinn dispettoso deciderà di usarla come aquilone.
Ah già, il Jinn, un'altra cosa di cui dovremo parlare prima o poi e dovremo fare qualche considerazione anche sugli zombie, ma preferisco lasciar passare un po' di tempo e magari capirne di più perché gli omani non sono tanto gioiosi di affrontare questo argomento, così come ieri parlavamo delle streghe di Bahla. Ci sarà tempo, si spera qui, che il tempo è l'unica cosa che non manca, magari quello per farsi i fatti propri non è che sia così disponibile però per il resto ce n'è che avanza e per di più appare davvero dilatato (specie la mattina che non passa mai).
In questo modo trascorre la prima settimana. Qualcosa starò dimenticando come ad esempio la mia lunga discussione con Said sui principi solidi del Corano, sul sì e no, sul bianco e sul nero a cui contrapponevo, con difficili tentativi di emulazione, la mia visione del bianco-grigio-nero o del sì-forse-no. Il problema irrisolto è stato quello di comunicargli che per noi le sfumature di grigio che stanno tra un bianco e un nero sono tante, ma tante tante spesso troppe e che avendo un'autostrada così ampia diventa talmente difficile sconfinare alle estremità, abituandoci in questo modo alle zone grigie prive di luce. E invece qui la luce non manca, un po' come nel già trascorso Diwali indiano ("festa della luce") di mercoledì scorso. Ci siamo promessi di riprendere questo discorso più avanti. E come tutte le cose spinte avanti ci saranno ottime probabilità che non verranno riannodate mai.
Per il resto pochi giri al suq per ora, tante docce e un po' di chiacchiere con gli amici sparsi in giro per il mondo via IMO che abbiamo scoperto essere una buona alternativa a Skype, ancora non abilitato al funzionamento, non disponendo, o volendo disporre, di Tunnel VPN, perché qui la censura comunque esiste e non è leggera.
Domani inizieremo la seconda settimana che, oltre a progressi lavorativi, spero ci introduca anche ai vari aspetti dell'ʿīd al-kabīr (o īd al-aḍḥā "festa del sacrificio"), la più importante festa islamica che dovrebbe iniziare dal 6 novembre, anticipata dal giorno del viaggio, il 5 novembre. Se poi riuscissi a passarla dal mattino come ospite di una famiglia potendo usare la mia 5DmkII sarebbe davvero un regalo.