venerdì 25 novembre 2011

Oman | one month later

Che alla fine è questo il modo di tenere un diario. Una settimana, un mese, un anno. Credo che non potrei fare niente di meglio, neppure se ci provassi davvero. Rientrano sempre quelle millemila cose da fare che la sera sei stanco e rimandi a domani. 
Comunque sono ancora in Oman, è passato un mese dall'ultimo aggiornamento e anche a non volerlo sono successe cose. E anche non poche, tutte di importanza relativa, niente di epocale e forse anche qualcuna noiosa.

Il pranzo dell'Eid.
L'ultimo post si fermava ai giorni pre Eid (o Id Al-Khabir) festone muslim per eccellenza. In parte il desiderio si è avverato: siamo stati ospiti di una famiglia omanita per il terzo giorno di Eid, quello che ci interessava di più dal lato culinario. Durante il primo giorno, quando vengono scannate le bestie, dopo intense contrattazioni al suq per l'acquisto, il pranzo che viene preparato è a base di carne stufata, il secondo sono i classici shish kebap o spiedini, mentre già dalla sera si prepara la shuwa, carne e relative teste per il giorno seguente, speziandola e avvolgendola in foglie di banano intrecciate tanto da formare una specie di tasca poi sepolta sotto terra per una lunga lenta cottura che prenderà tutta la notte e anche la mattina dopo.
Arriviamo a casa del nostro amico puntuali dopo una mattina di scavo, ma puliti come bimbi puliti ed eccitati dall'idea di fare chissà cosa per esempio il servizio che vale il premio mondiale della fotografia etnografica. Le aspirazioni si spengono subito perché ci viene chiesto di non fare molte foto e soprattutto di non divulgarle. Per cui ho foto che non posso far vedere. Sì, un po' come non averle perché i ricordi di quella giornata sono tutti nella mia testa, nei miei occhi, nei gesti a volte solenni che sono stati fatti, come l'apertura della sacca di banano, come la pulizia dei crani mentre ci veniva offerto, come ospiti di riguardo, il cervello caldo e morbido.
L'ingresso in casa è stato attraverso due porte differenti, una per le donne e una per gli uomini. Non avremmo rivisto le nostre colleghe fino alla fine del pranzo e non avremmo visto neppure la parte femminile della famiglia, tranne l'anziana madre che un paio di volte è scivolata silenziosa lungo il corridoio forse per verificare che fosse tutto a posto oppure solo per andare in bagno (non avevano un bagno di là?). Dopo i saluti di rito e le presentazioni durante le quali la frase che ricorre è "Eid Mubarak" come forma di augurio e di benessere prospero per i giorni dell'Eid, gli uomini si sono accomodati nella sala buona con divani, cuscini ed un enorme tappeto per terra, sedendosi in ginocchio e avendo cura di non mostrare le piante dei piedi. Per loro è facile, basta accomodare la dishdash coprendo tutto, ma per noi, con i nostri jeans strettini alla moda, nascondere i piedi è stato un po' più difficile. Penso che in fondo ci abbiano perdonato. Ci siamo accomodati in ginocchio attorno ad un telo trasparente sul quale è stato poggiato un grande vassoio di riso giallo con spezie varie su cui era ordinata la shuwa. Cow and goat come ci hanno detto, domandandoci anche se ci servisse un cucchiaio essendo occidentali e quindi non abituati a mangiare la carne con le mani. Ora, tra mangiarla con le mani, cosa che faccio molto spesso e non solo qui, e mangiarla con un cucchiaio è chiaro che abbiamo scelto la prima. In fondo l'abbiamo già fatto altre volte e la cosa riporta un po' al piacere tribale della carne cacciata, macellata, cotta allo spiedo e mangiata senza troppi problemi. L'unica cosa per me un po' difficile rimane sempre quella di staccare piccoli pezzi personali da un grosso pezzo comune usando soltanto la destra senza toccare e ritoccare il cibo di tutti gli altri perché la sinistra durante il pranzo se ne sta comodamente tra le gambe incrociate. Comunque, tralasciando le difficoltà personali, si stacca un pezzetto di carne dalla parte comune per portarla nella propria zona di piatto e mescolarla con il riso sul palmo della mano plasmando e stringendo finché non esce una specie di polpetta solida quel tanto che basta per essere messa in bocca senza che si distrugga prima. Poi naturalmente la frutta e tutti i dolci possibili fatti a base di datteri. In tutto questo non so, non riesco a fare a meno del vinello o magari di una birra. Certo, ci sono ottimi surrogati: succo di mirtillo e frutti rossi, birra Barbican al malto gusto limone, praticamente una 7up in una bottiglia di birra col tappo a corona che si svita. Non c'è che l'imbarazzo ed è sempre disponibile la Pepsi in bottiglia da due litri. Ok sì, i beveraggi non è che siano la loro portata migliore però possiamo farne a meno, no? Almeno per una volta. E poi se proprio è necessario c'è sempre il Falaji Daris (albergo di Nizwa con la possibilità di bere birra abbastanza seria oppure dell'ottimo vino rosso freddo di frigo oppure gin and tonic). L'ospitalità è stata sempre araba, perfetta, attenta, mai pesante o fuori misura. In questo avremmo molto da imparare. Alla fine della giornata dopo il cibo e le tante chiacchiere abbiamo avuto l'onore di incontrare le due figlie del nostro amico, due piccole pesti con le mani e le braccia disegnate da una delle tante decoratrici di henna che qui fanno dei veri e propri capolavori. Questo è stato il nostro Eid, il nostro primo Eid, ammessi in casa di una famiglia omanita nel loro giorno di festività più importante. Beh sì è come se invitassi qualcuno a casa mia per Natale. E' come se ma un po' differente.




Su e giù per la Cayenna.

A parte il pranzo dell'Eid continua il nostro su e giù per la Cayenna. Da qualche giorno sta perdendo un po' l'aspetto terribile che aveva all'inizio. Sarà che ci siamo forse abituati? Che siamo meno piagnucoloni, che vediamo arrivare abbastanza velocemente la data della partenza, velocemente ma non troppo questo è sicuro. Comunque andare su e giù per il monte ci fa bene fisicamente e anche durante la giornata di lavoro non ci pesa più così tanto farci mezza discesa e poi di nuovo mezza salita per andare a fare foto allo scavo sotto oppure per portare su nuovo materiale, nuovi guanti (che vanno via veloci come fossero ginocchia di bimbo su asfalto drenante) o nuovi attrezzi. Il lavoro sulle rocce, oltre ad essere dispendioso in termini di energia fisica, deteriora rapidamente ogni cosa. Il gruppo dei Pakistani è compatto, orgoglioso, poco incline alla risata e gran lavoratore, quello dei bengalesi è più leggero, molto dedito alla chiacchiera durante il lavoro (ce ne sono due o tre che parlano, parlano, parlano in continuazione, tanto che giorni fa ho chiesto a uno di loro di che cosa avesse parlato per tutto il tempo non immaginando che per rispondermi avrebbe iniziato di nuovo a parlare, parlare, parlare) ed anche un po' più furbetto nel far fruttare l'incomprensione naturale con noi. Nell'insieme i primi sono per il lavoro grosso, per trascinare pietre e per costruire (è la mia squadra), gli altri invece sono molto bravi nel pulire con attenzione parti di terreno, per il lavoro un po' più raffinato. E sì, vanno bene entrambi. A patto che siano separati. Altrimenti sono atti di continua prevaricazione verso chi si trova in minoranza quando non ci sono liti vere e proprie per risolvere questioni come la divisione dell'acqua. La mia tomba, la prima, è stata completamente ricostruita e, anche se abbiamo avuto alcune discussioni sull'altezza finale che avrebbe dovuto raggiungere, adesso sono abbastanza soddisfatto del risultato. Oggi mentre scrivo è venerdì, quindi giorno di festa in cui ci riposiamo ciascuno dietro le proprie cose di lavoro e di tempo libero. Alterno le cose divertenti, tipo scrivere questo resoconto senza nessuna pretesa, alla scrittura del report che dovremo consegnare alla fine. Quest'anno vorrei che fosse pronto almeno 24 ore prima della mia partenza e non come al solito contando i minuti tra la preparazione della borsa e i saluti alle persone che non rivedrò fino a febbraio. I buoni propositi...



La mattina fotografica al suq (questo paragrafo può offendere persone sensibili).

Come almeno una volta durante la missione scelgo un venerdì in cui mi sveglio presto per andare al suq, al mercato delle bestie e del pesce a fare foto. Sono da solo, mi trovo meglio, posso indugiare in posti che puzzano e magari fermarmi in posti che sembrano poco consigliabili ma che in realtà sono assolutamente tranquilli. Non metto la sveglia, ma è una mattina in cui mi alzo senza problemi alle 7. E' festa ed il giorno lo dedico alla fotografia, anche se per andare a vedere quello che voglio, e cioè persone, animali, pochi turisti, gesti consueti, devo per forza alzarmi presto. Quando tutte le mattine sei in piedi prima dell'alba un giorno di riposo vale molto. Però la fotografia... Quindi colazione, esco in tenuta da lavoro con lo zaino dove trovano posto la 5D II e le due ottiche che ho, un 24-105L montato e un 100-400L pronto per essere usato quando le situazioni mi sembrano ideali. Cammino giusto 500 metri per portarmi dall'altra parte della strada e il secondo taxi che passa si ferma: è uno di quelli pubblici, lo condivido con due tedeschi che sono a Nizwa per la prima volta. Dopo due chiacchiere ed un veloce Sabah el kheer - Kef halak - zein al hamdulilla (buongiornocomevabenegrazie), cercando di disinnescare il completo saluto arabo che è lungo, lungo ma lungo. E poi non lo so bene tutto, quindi per evitare figuracce mi sbrigo.
Arriviamo nel grande parcheggio di Nizwa e scendo diretto verso il vecchio suq che è composto da una serie di mercati, di corridoi, di piazzette, di angoli e un unico barrettino dove si compra il the. E' perfetto, nessuna facilities per turisti. Mi sento a casa e non solo per la puzza. Stavolta me la prendo comoda, lascio a dopo la parte del mercato delle bestie (una specie di rotonda dove i venditori girano trainando animali più o meno innervositi, che scalciano o s'impennano mentre i compratori o i curiosi come me stanno ai lati e osservano) e vado verso quello del pollame e del pesce. 



Occorre arrivare la mattina presto, specie a quello del pesce perché ci sono i banchi pieni e soprattutto ci sono i venditori che sventrano in terra i pesci di grandi dimensioni in mezzo ad acqua e sangue. L'odore è forte e riconoscibile immediatamente, capisco perché i carnivori siano eccitati quando lo sentono. A me non piace e la prima volta quando capitai in pieno sgozzamento di polli in batteria stavo quasi per vomitare. Ma poi ci si abitua. Riesco a fare un po' di foto, ora non ho più il timore delle prime volte, riesco a chiedere il permesso in un arabo decente e spesso dicono di sì, alcuni alzano pesci e coltelli come trofei, altri giocano pericolosamente con le lame tra le mani. Inutile dire che ancora non riesco a togliermi dalla testa quella paura scema che ogni tanto mi prende se penso a come sono bravi a tagliare la gola alle bestie, sarebbero velocissimi nel farlo con me. Poi per fortuna altre cose che vedo mi allontanano da questi pensieri e mi danno qualche altra occasione per fare foto, magari mentre cammino proprio in mezzo a loro, tentando di riparare la macchina da qualche schizzo di sangue. Esco dal mercato del pesce e passo a quello degli uccelli dove intavolo una trattativa con due ragazzini per l'acquisto di un nido fatto di barbe di palma e di fango (si scioglierà alla prima pioggia fiorentina, ne sono sicuro). Offro 1 OMR (circa 2 €) e loro ne chiedono 2. Sembrano più divertiti dalla possibilità di trattare con uno come me che interessati alla vendita. Stanno molto sui 2 rial ma quando vedono che anche io faccio il simpaticone ma non mi muovo da 1.0 allora chiedono 1.9: è fatta. La trattativa si muoverà a singhiozzo con scene di finta disperazione loro come se avessi offerto una cifra vergognosa e puerili tentativi miei di andarmene, tanto alla fine sappiamo che arriveremo a 1.5 e saremo contenti entrambi. 



Il mercato delle bestie ha già offerto il meglio, mi fermo un po' a vedere le aste di quello che è rimasto. Ci sono donne omanite della costa o appartenenti a famiglie beduine che attirano per il colore dei loro veli e per i niqab, le maschere, che usano per coprirsi parte del volto. Trattano al pari di un uomo, anzi direi che la condotta dell'asta e della vendita è tenuta saldamente da loro stesse. Qui ho visto come un gruppo di italiani può dare il peggio: naturalmente basta osservare come vesti per farsi un'idea: canottiera con spalle scoperte, pantaloncini corti, aria sguaiata da mo' arivo io... Fotografano in giro comprese le donne omanite, cioè quelle che sul mio flickr trovate qui, da vicino, senza accortezza, senza chiedere, senza alcun segno di rispetto. Loro con ampi gesti delle braccia iniziano a spazientirsi e li invitano ad andarsene, questi retrocedono di qualche passo e continuano a fotografare con le loro cazzo di macchinette mentre le altre si alzano e raccolgono dei sassi da terra facendo il gesto di farli saltare su una mano, come se li soppesassero. E' un gesto che, oltre alla minaccia diretta che forse anche una mente molto semplice capirebbe, ha un significato più nascosto. E' il gesto che in genere si fa con gli animali pericolosi per mostrare che non si ha paura di loro, con le scimmie funziona benissimo, ma anche con certi cani che si trovano ai margini dei paesi in quelle terre di nessuno predesertiche ma già prive di acqua e di cibo. Far saltare una pietra su una mano ti dice: "non ho paura di te, animale". Non mi metto nel mezzo io, sebbene abbia la tentazione di mandarli davvero affanculo, non mi metto nel mezzo come mi hanno insegnato, intanto perché loro sanno difendersi da sole e non sono sole e poi perché se peggiorano le cose puoi essere sempre menato perché sei occidentale. Alla fine comunque se ne vanno ridendo, in gruppo, mostrando come è forte il gruppo quando è gruppo. Continuo i miei giri e vedo altre cose, mi seggo e osservo la gente che passa, chi mette a posto, pulendoli, i cavi e le grosse corde che tenevano le mucche legate, chi passa con gli ultimi acquisti da fare, chi si muove come se dovesse portare ancora a casa il pane per la giornata. Decido poi di andare sotto l'albero a prendere un the. Tralascio che nel punto di ritrovo con i miei colleghi incontro nuovamente il gruppo di italiani "... perché se tu vieni a casa mia te devi da scoprì a faccia devi sottostà a e nostre regole artro che burca" e nello stesso discorso "mo che vojono, me stanno a guardà e gambe? Io sto qui vestita come vojo come sto ar paese mio..." Beh lascio Sasha e il suo gruppo (sì, si chiamava così) al loro zoosafari di umani e me ne torno con i colleghi verso l'albergo dopo una breve visita nel suq delle stoffe che fanno dentro al wadi.

Così passa un mese che con la settimana di prima fanno circa 36 giorni che sono qui. Il tempo va che è un piacere una volta regolati gli automatismi e se non ci si pensa troppo sembra di essere sempre stati qui. 

Il tempo in fondo è una bestia strana.